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La progressione nell’Arte della sequenza

Ago 21, 2020 | Krama Vidya

Di Alessandra Romani

Così come nella natura vi è una progressione verso la perfezione, così nello yoga, necessariamente è previsto che il praticante attui un’avanzamento graduale, per raggiungere lo scopo prefisso: la liberazione finale.

In India il concetto di “Krama mukti” è quel cammino che in modo costante porta alla perfezione.

Tale filosofia si ritrova anche, nella “ronda delle esistenze” o Samsara, in cui l’individuo, attraverso varie vite, passa da un piano di esistenza o loka all’altro, a causa delle azioni compiute nelle vite anteriori.

Da tale progressione non è possibile fuggire a meno della liberazione: è probabile salire ad un grado più elevato e migliore di vita, per poi inesorabilmente ritrovarsi a scendere in una condizione peggiore.

Per il praticante, è impossibile raggiungere lo stato di Yoga immediatamente, poiché non è spesso alla sua portata, ma può essere perseguito volontariamente, solo attraverso passaggi progressivi: il “Krama”.

La stessa teoria del Karma, ovvero la progressione dei meriti e dei demeriti che l’uomo accumula durante l’esistenza, fa riferimento ad uno sviluppo che dalla vita attuale porterà verso la successiva Via dei Cieli (Deva-Yana) o verso la Via degli Inferi (Prithi-Yana).

Nelle classi ordinarie di Hatha-Yoga difficilmente si ritrova tale “progressione”, poiché ogni asana è staccato l’uno dall’altro; lo Yoga, diventa perciò una semplice ginnastica magari raffinata e che fa bene al corpo per poi giungere ad uno stato meditativo alla fine della sequenza.

In sostanza, in India, l’Hatha Yoga è considerato un mezzo per portare lo yogi ad essere un animale in buona salute per la meditazione perché quest’ultima assume un valore più elevato della parte fisica.

In Occidente, per quanto possiamo praticare tramite la presenza consapevole, Vidya, il risultato sarà sempre circoscritto rispetto alla fase Meditativa. Immettere il concetto di Krama in una seduta di Hatha yoga è mirare ad ottenere via via dei livelli di interiorizzazione sempre più elevati nell’ottica dell’unione del corpo alla mente.

Infatti, scivolando da un asana all’altro nel Krama-vidya, come senza accorgersene, si sviluppa di volta in volta una concentrazione molto elevata rispetto ad una semplice seduta Hatha yoga classico. Il risultato sarà quindi più potente di uno stato meditativo, poiché saranno coinvolti sia il corpo che il respiro ininterrottamente, in un sistema che si riunifica alla mente. Da uno stato di dispersione, Avidya o non consapevolezza, giungeremo quindi ad uno stato di Vidya o consapevolezza.

La non consapevolezza, in India, è causa di sofferenza e malattia e la soluzione di tutto ciò è comprendere e realizzare la Vidya nella nostra vita uscendo dall’ignoranza. Nell’asana si può affermare che per far ciò, occorre effettuare delle forme spaziali corporee guidate dall’interno e volute: qualitativamente diverse da quelle ordinarie ed esterne che assumiamo per schemi sociali od involontari. Ogni forma spaziale assume un valore diverso a seconda di come viene eseguita, realizzando un differente spazio interiore.

La mente cosciente vede e percepisce la posizione secondo un suo schema corporeo: con la progressione della pratica nella modalità “krama” ci sarà un approfondimento della consapevolezza a tal punto che la mente si unirà sempre più concretamente al corpo.

Le fasi fondamentali di una sequenza nell’ottica del Krama Vidya sono:

  • la presa di contatto: percezione sintetica del corpo e del respiro come punto di partenza e paragone alla fine della pratica;
  • le prime azioni: esercizi dinamici per percepire corpo e respiro;
  • la giusta misura: un concetto molto importante nel Krama che implica un dominio della propria natura più o meno competitiva;
  • il ritorno dall’asana assunto: senza perdere il controllo e senza creare una frattura nell’insieme del fluire della sequenza;
  • il passaggio fra una posizione e l’altra specialmente se speculare: lento e adeguato se la mente ha bisogno di riposarsi, se la posizione ha creato stanchezza, o disagio perché ha richiesto equilibrio, oppure come fase di digestione per osservare le sensazioni residue dell’asana;
  • aumento o diminuzione progressivo dell’intensità della consapevolezza e del respiro relativo alla realizzazione dell’esercizio: ad esempio in un esercizio di equilibrio sarà potenziata l’attenzione che permetterà di trovare una statica delle forze per restare immobili, bilanciando quindi il respiro a tal fine.

Tutto questo fluire armonico è Krama: un perenne divenire perfettamente ordinato tendente alla perfezione.

Nel krama-vidyâ ci si centra sulla posizione, come nell’hatha-yoga classico, ma, al momento di lasciare l’asana e di conseguenza le membra, l’attenzione e la concentrazione, ci si interiorizza ancora di più, entrando nella successiva posizione con un grado di raccoglimento più elevato. Nel krama-vidyâ ci concentriamo sul corpo e sul respiro, avendo una riuscita molto più efficace della meditazione consueta.

In quest’ultima, infatti, si agisce solo sulla mente, mentre con krama-vidyâ si agisce sull’intero insieme di corpo, respiro e mente, riunificando la materia allo spirito.

Il Cosmo, l’ordine del creato, si manifesta in questo modo; l’Uni -verso è caratterizzato da un ben preciso “verso” giusto alla cui base vi sono armonia e centratura, diverso dal Caos.

La progressione nell’Arte della sequenza (parte 2)

Nell’ottica del Krama-vidya, ho considerato una pratica che avesse una similitudine con il fluire della Natura.

La sequenza vuole rappresentare la simbologia dell’Albero che dal seme evolve verso la pienezza coronando le proprie potenzialità così come avviene per il praticante nel cammino dello Yoga, dove ciascuno percorre un’evoluzione verso le proprie naturali inclinazioni.

Tale crescita sarà effettuata nel migliore dei modi se potrà ricevere il nutrimento degli elementi – Maha Bhuta: Terra, Acqua, Fuoco, Aria cercando di non disperdere da un passaggio all’altro le qualità delle passate sostanze cercando di farle proprie in una struttura armoniosa.

La sequenza favorisce con lo scorrere continuo e fluido, il mantenimento della consapevolezza, attraverso le regole sopra dette e che saranno esplicitate in dettaglio.

Il sostegno di tutto ciò è il respiro che costituisce la sovra-consapevolezza e dalla scelta delle posizioni armoniche le une con le altre, per preparare la verticalità dell’Albero manifestazione del percorso di crescita giunto a maturazione.

L’equilibrio dell’Albero è mantenuto grazie alla forza delle sue radici che costituiscono la base d’appoggio in sinergia col tronco dove si trova il baricentro sia fisico che psichico del respiro, la chioma resiliente che fa fronte alle circostanze avverse e da cui coglie opportunità.

La meditazione finale si concentra sulla consapevolezza che nessun Albero è uguale ad un altro Albero; anche ognuno di noi è differente l’uno dall’altro; il percorso della propria vita, quindi deve essere volto a nutrire la propria peculiarità, per poter esprimere al massimo le potenzialità dentro di noi e far fiorire la propria essenza.

  1. Sukkhasana: obiettivo: presa di contatto. Tecnica: percepire globalmente lo schema corporeo. Sentire il flusso del respiro che si muove dentro e attraverso il corpo, sentire i punti di contatto con il pavimento. Effettuare una profonda inspirazione, trattenere per qualche istante, e sospirare appoggiando consapevolmente alla terra anche il respiro.

Con questo esercizio ci siamo accostati al nostro corpo. Nell’ordinario, il corpo viene utilizzato, ma non percepito. Per il corpo risulta vitale l’essere guardato da parte della mente. I sensi sono stati rivolti all’interno e si sono attivate le terminazioni nervose («Lo Yoga è una disciplina che ci consente di porre sotto il nostro controllo tutte le terminazioni nervose del nostro corpo e ci permette di utilizzarle al meglio e consapevolmente»).

  1. Mukha Bhastrika– il Mantice con la Bocca: il respiro viene resettato. Si parte da questo per appoggiare la pratica, liberando il tratto diaframmatico ed addominale e portando l’accento soprattutto sulla espirazione.Tecnica: Vajrâsana, pugni chiusi all’inguine, bocca ben aperta – fino a tendere gli sterno-cleido-mastoidei, denti socchiusi, inspirare, quindi espirare “esalando” l’aria ritmicamente, sino ad esaurirla completamente, con un movimento in avanti che ci porta con la fronte a terra, dove si rimane a lungo in apnea a vuoto; quando si sente il desiderio di tornare ad inspirare, allora si inala sollevandosi, stando attenti a far coincidere l’intero movimento con la durata della inspirazione.
  2. Bandha-dharmikhâsanala Foglia Piegata con i pugni nella pancia: il seme vivo in potenza del ritmo vitale è protetto dalla terra che lo accoglie (TERRA).

Obiettivo: accentuare gli effetti dell’esercizio precedente, portando la consapevolezza ancor più sul ritmo vitale in potenza. Tecnica: effettuare Mukha-bhastrikâ sino a portare la fronte a terra, rimanere nella posizione (invece di tornare), effettuare respiri ampi e profondi, focalizzati nell’addome; nella posizione portare tutta l’attenzione al ritmo del respiro. Quando si desideri ritornare, lo si effettui come per il ritorno di Mukha-bhastrikâ; raggiunta la posizione seduta, portare tutta l’attenzione al ritmo del respiro.

  1. Shashankâsana – la posizione della Lepre il seme inizia a germogliare.

Obiettivo: per imparare a trovare la giusta misura della crescita, assaporando il ritmo di andata e valorizzando il ritorno. Tecnica: dalla posizione di Vajrâsana portiamo la testa a terra, il più vicino possibile alle ginocchia. I palmi delle mani poggiano a terra accanto alla testa. Solleviamo lentamente i glutei, per cui la testa si trova a rotolare con il cuoio capelluto contro il suolo, stirando le cervicali che possono trovarsi a “lavorare” molto intensamente. Cerchiamo di arrivare alla posizione più avanzata possibile, conciliando le nostre possibilità con la forma statica con agio e gradevolezza. Se tutto ciò si attua con facilità, allora intrecciamo le mani dietro i lombi, i palmi rivolti verso il basso (ma non per forza). Se ancora tutto ciò ci risulta gradevole, allora spingiamo le braccia verso la testa ed oltre, sino a raggiungere il punto limite (ma gradito) delle nostre possibilità. Stiamo nella posizione, sino a che non avvertiamo che questa si è conclusa, allora, con dolcezza, effettuiamo specularmente le fasi ritornando con la testa a terra. Un elemento fondamentale in questa posizione, ma anche generalmente in tutti gli altri âsana, è quello di non forzare mai, cosa che si traduce nell’attuare la giusta misura. Il criterio di giudizioè estremamente difficile da attuare, in modo particolare all’inizio, poichè, spesso, la svogliatezza può indurci a far meno di quanto dovremmo, così come la sfida con noi stessi a far di più, danneggiando il corpo. In aiuto possiamo attuare le seguenti strategie:

1ª regola: procedere con calma verso la posizione finale;

2ª regola: arrivati al massimo, torniamo indietro un pochino, certi, così di restare entro i nostri limiti di elasticità;

3ª regola: controllare di percepire una “stimolazione gradevole”, segno che stiamo sì lavorando, ma non stiamo esagerando;

4ª regola: verificare alla fine della posizione se vi sia un surplus di percezioni residue, se non, anche delle parti doloranti: prenderemo nota mentalmente di ogni esperienza, conoscendo i limiti del nostro corpo.

Un altro elemento molto importante per la corretta pratica degli âsana è dato dal modo con cui ritorniamo dopo la loro esecuzione. Infatti, come è importante porre cura ad assumere una forma, altrettanta cura occorre nell’abbandonarla. La sperimentazione ci spiega che, pensando di aver concluso l’âsana e, a volte, essendo andati al di là delle proprie possibilità, lo si lascia velocemente, dimenticando ogni consapevolezza. Perciò sarà necessario impiegare al rientro almenolo stesso tempo dell’andata, effettuando specularmente tutte le manovre compiute per prendere la posizione, mantenendo inalterata, anzi potenziando, la concentrazione. Se siamo capaci di attuare tutto ciò, il successo sarà garantito e la consapevolezza si manterrà intatta durante tutto l’arco della sequenza.

  1. Movimento gatto in salita: il seme inizia a crescere acquisendo un movimento sinuoso verso l’alto (ACQUA) Obiettivo: dar vita al movimento della piantina attraverso l’azione lungo tutta la colonna ed in particolar modo sui lombi, sulle cervicali e sulle clavicole.

Tecnica: posizione a 4 zampe. Procediamo con un movimento ritmico espressione del respirocon la fase inspiratoria di apertura del tronco, inselliamo la schiena e solleviamo la testa in alto; espirando, curviamo la colonna e portiamo il mento verso il torace. Lasciamo che il movimento del corpo sia l’espressione del ritmo della respirazione. Percepiamo l’opposizione delle fasi insieme alla loro complementarità. In seno all’inspirazione sono comprese potenzialmente le forze e le caratteristiche dell’espirazione e viceversa; nel movimento di apertura del tronco esistono potenzialmente e si creano le forze e i meccanismi del movimento di chiusura del tronco e viceversa. Sentiamo che esiste la stessa intensità di realizzazione del movimento sia in chiusura che in apertura, per creare la consapevolezza che in seno all’una forma vi è l’altra e viceversa, così da sprofondare nell’interiorità corpo/mente.

  1. Shaktiasana: nel baricentro si sviluppa la forza vitale che estende la piantina dalla terra verso il cielo: dalla posizione precedente, ci portiamo eretti, rientrando le dita dei piedi e flettendo le ginocchia, fino ad appoggiare le mani sopra i piedi o a una certa altezza delle gambe dove possiamo mantenere la colonna lunga, allineata e mobile.

Movimento dinamico:

Inspirazione:

Riallunghiamo lontano all’indietro il coccige da una parte e la testa dall’altra parte

allineata con il resto del tronco, percependo la fermezza dell’addome e del perineo. La percezione sale sulla colonna.

Espirazione:

Prendendo appoggio sulle mani, abbassiamo la testa per appoggiare il mento, sull’alto dello sterno, spingiamo l’ombelico verso la colonna e contraiamo il perineo. La percezione scende.Installiamo ilmovimento dinamico con la sospensione del respiro: inseriamo nel ritmo del respiro un tempo per la sospensione a polmoni pieni e un tempo per la sospensione a polmoni vuoti; per questo, come abbiamo fatto in precedenza dobbiamo accelerare il movimento. Il ritmo da mantenere sarà quindi 1.1.1.1.

Durante le sospensioni attiviamo i 3 Bandha e proviamo a sentire contemporaneamente i 3 punti di legature e il senso di elevazione e di espansione del torace.

Dopo aver praticato 5 respirazioni con le sospensioni, ripristiniamo l’equilibrio respiratorio per alcune respirazioni lievi e lunghe con la mobilità del tronco.

E infine, ci raddrizziamo qualche istante in piedi, in una posizione neutra dove lasciamo andare la respirazione spontanea. Percepiamo semplicemente l’asse della colonna che esiste naturalmente e si prolunga all’infinito verso la terra e il cielo.

  1. Surya Namaskar Mudra: il calore del sole nutre vitalizza sottilmente e fa crescere la piantina (FUOCO)
  1. Trikonasana in dinamica: i rami conquistano lo spazio in tutte le direzioni – espansione (ARIA)
  1. Vriksasana: la pianta è cresciuta grazie a tutti gli elementi con le radici solide che permettono alle fronde di oscillare al vento. Si è resa unica ed esprime la sua qualità, espandendo la sua essenza.

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